UNIverso
Ho atteso...
Ho atteso il domani
di Rocco Aldo Corina
Eppur così non può essere, ma così è, forse. Nessuno si meravigli se, leggendo Francesco, penso a Turoldo. «Ieri un Vecchio segnato dal tempo ricorda di un/ giovane tempo che ha smarrito quel tempo». Così si esprime Francesco, non certo desiderando l’oscurità della triste sera. La passata giovinezza non gli permette infatti d’avvertir la quiete per quel tempo che purtroppo, ahimè, non c’è più. E Turoldo? «Fa’ – dice – che la notte finisca» presto, basta con il «pianto che ora trasuda dai nostri rami gonfi d’allegri sogni soavi», «fammi piena la bocca di profumo». E il nuovo giorno ci sarà?
Per Ungaretti sì se per lui «dopo tanta nebbia a una a una si svelano le stelle». Creatività – la sua – che porta di sicuro all’amor puro, che non certo disdegna i chiaroscuri lunari nell’amabile luce delle stelle.
Il fatto è, però, che «i labirinti non sono più lineari e svoltare sempre in una direzione può condurre a intersezioni e sovrapposizioni»[1] anche perché «non è facile seguire il filo di Arianna nel labirinto dei nostri giorni»[2] se pensiamo alle «pagine con segni minuti/ trovate nel nulla,/ speranze passate/ trovate sospese» di cui dice Francesco. Versi questi che, in un’atmosfera di vagante attesa, segnano la trama di un essere (quello del poeta) che inquieto in fondo non è, pur nella considerazione di una vita ogni giorno segnata da «Primavere sospese nel tempo» in un viavai di sorrisi inaspettati «nei trascorsi di stazioni lasciate», percorsi inariditi «su umide labbra di mare», «mani tese» in contrasto fra loro, descritte in maniera formidabile nell’entusiasmo di una forma a dir poco sublime per gli avvenenti e garbati effetti che, generati da un’anima a mo’ di preghiera, sembrano avvertir chiaramente gli affannosi assilli del mal vivere umano. Le abilità stilistiche – che di certo non mancano – fanno poi di Francesco un «architetto della parola» come Tina Cesari a buon ragione sostiene, tenendo anche conto dell’efficacia di un pensiero non certo privo di «nitide stelle» di cui dice l’Autore nel rifiuto dell’inerte bruma.
Peccata
“Peccata”
Verba tollis et dat peccata mundi.
di Francesco Pasca
Quando venne il tempo della purificazione ... Andò al Tempio e disse: “Questo confesso. Senza pentimento.”
Perché appartiene alla Storia. Per la Storia sarà dono.
La Scrittura appartiene a chi legge.
Ogni Storia necessita di un Luogo e di un Tempo, di un Nonluogo e di un Nontempo, di un “… ponte sospeso nel vuoto più vuoto… che incertamente congiungeva le due sponde … che lasciava.”
Antonio Errico consegna ad Euripide il compito di far dettare Topos e Kairos con le: “tante sorprese”, non importa il numero, se dieci o più o meno, il certo è con il: “un dio apre la via. “ Dat actum et factum è invece l’annuncio di Eugenio Montale, in esergo, con la metafora del: (imprimere un senso alla vita.) “C’è chi sopravvive.” /So-prav-vì-ve-re/ non è il rimedio, non è l’accezione di un significato ma il superare con la luce, con il fuoco nascosto nella sua brace. Così, semplicemente, dimorando in un accorato romanzo, in 173 pagine.
T'AMO(sulla carta)
“7×7 T’AMO sulla (carta)”
di Alessandra Peluso
(da www.corrieresalentino.it)
Francesco Pasca come al solito si contraddistingue nella scrittura.
Ingegno, creatività, parole, immagini stupiscono anche questa volta. È sufficiente leggere “7×7 T’AMO sulla (carta)” per rendersi conto dell’evidenza di un’espressione artistica libera e concludente, non conclusiva; nulla infatti, si conclude per Pasca o si definisce: ogni opera è un nuovo inizio.
In “7×7 T’AMO sulla (carta)”, più due (sé)mi Pensieri e Un F (atto), edito da Il Raggio Verde Edizioni, rappresenta l’amore sulla carta, visivo e non, in preda all’immaginazione e alla realtà: “Penia” e “Poros”, “Endimione” e “Selene”, ma anche l’ozio, il riposo creativo del saggio.